Negli ultimi dieci anni sono aumentati gli studi nel campo delle nanoparticelle magnetiche che utilizzano diversi tipi di ossidi di ferro, nichel, cobalto e leghe preparate con miscele di metalli magnetici (Ito et al 2005; Tanaka et al 2005). Tra le nanoparticelle magnetiche di ferro troviamo la maghemite (γ-Fe2O3) e la magnetite (Fe3O4), entrambe con circa 5-20nm di diametro.
Nanoparticelle magnetiche
La magnetite ha una struttura cubica inversa in cui l’ossigeno forma un impacchettamento chiuso ed i cationi di ferro occupano i siti ottaedrici e tetraedrici interstiziali (Cornelis et al 1977). Gli elettroni possono saltare tre gli stati Fe2+ e Fe3+ nei siti ottaedrici a temperatura ambiente, rendendo la magnetite una classe importante di materiali semimetallici (Kwei et al 1990; Hartman et al 2008).
Con un rivestimento appropriato, queste nanoparticelle magnetiche possono essere disperse in solventi organici, formando una sospensione omogenea che può interagire con un campo magnetico esterno (Babincova et al 2001; Wang et al 2001).
Sulla base delle loro peculiari proprietà fisiche, chimiche, termiche e meccaniche, le nanoparticelle magnetiche sono sfruttabili in diverse applicazioni biomediche come la terapia cellulare (labelling cellulare), la riparazione dei tessuti e soprattutto nelle immagini di risonanza magnetica (Reimer et al 1996; Arbab et al 2003; Pankhurst et al 2003).
Recentemente la tossicità di queste nanoparticelle, dovuta alla loro internalizzazione cellulare e alla conseguente distruzione delle membrane cellulari, è stata notevolmente ridotta grazie al targeting e all’aggiunta di polimeri sintetici come i PEG che ne evitano l’opsonizzazione o varie molecole come ad esempio l’insulina che ne evita l’endocitosi (Gupta et al 2003). Nanoparticelle magnetiche sono state incapsulate in eritrociti al fine di aumentarne l’emivita nel flusso ematico ed evitarne l’opsonizzazione (Rossi et al 2005).
Sono tuttavia necessari ulteriori studi di nanotossicologia per escluderne eventi avversi.
Poiché le particelle sono in grado accumularsi in alcuni tessuti come accade nel tessuto tumorale, possono essere utilizzate per localizzare e misurare i binding al microscopio elettronico. Inoltre non mostrano alcun magnetismo dopo la rimozione del campo magnetico (Gupta et al 2005).
Referenze bibliografiche
Estratto dalla mia tesi di laurea specialistica “DETERMINAZIONE IN VITRO DELLA CITOTOSSICITA’ DI NUOVI NANOMATERIALI”. Pubblicata su NANOMEDICINE (2012: 7:3) – Development of a multilevel approach for the evaluation of nanomaterials’ toxicity. Luca Galluzzi, Laura Chiarantini, Elena Pantucci, Rosa Curci, Jacqueline Merikhi, Helga Hummel, Peter K Bachmann, Elisabetta Manuali, Giovanni Pezzotti & Mauro Magnani.
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